Festa degli affetti. Scuola dell'infanzia Tobagi.

Viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti multifattoriali che ha portato ad una progressiva pluralizzazione e complessità dei nuclei familiari. Queste trasformazioni sociali hanno reso obbligatorio anche un ripensamento non solo della riflessione pedagogica in termini di accoglienza alle nuove famiglie ma anche sotto forma di strategie da mettere in atto. 

Sappiamo, e la teoria ci aiuta a comprenderlo, che accogliere un bambino e una bambina in una servizio educativo significa accogliere anche la sua famiglia, qualsiasi essa sia. Vuol dire anche il suo bagaglio di esperienze, la sua storia, per dare forma a buone pratiche di accoglienza le quali ogni diversità dovrebbe tradursi risorsa. 

Come se ci fosse una possibilità unica di nucleo familiare, cancellando così le altre infinite possibilità, le separazioni complicate, le famiglie omogenitoriali per lutto, violenza, scelta o perché uno stato non accoglie l’idea che due donne o due uomini possano crescere un bambino senza alcuna controindicazione per il suo sereno sviluppo globale.

Le feste per tanti servizi sono l’occasione per offrire colazioni, dare forma a laboratori, pensare a dei momenti specifici ma perché classificarli ed etichettarli in una sola giornata l’anno?

Diventa quindi importante avanzare delle riflessioni e modificare il lessico. Sostituire il termine “famiglia” con il plurale “famiglie”, operazione che sottintende l’esistenza di numerose forme familiari che si sono aggiunte a quella tradizionale. 

Mettendo da parte simboli stereotipati e sostituire le feste comandate, e così i classici manufatti fingendo che li abbiano fatti i bambini e le bambini perché non possiamo accogliere tutte le famiglie celebrando la festa delle famiglie? Oppure la festa degli affetti, dei legami per ampliare il pensiero ad una scuola che accoglie qualsiasi forma di cornice rigida. In cui ogni legame, come zii, nonni, cugini sono accolti e inclusi. 

Non si tratta di non turbare la serenità dei bambini che non hanno il papà o la mamma, o almeno non solo, è una questione più profonda e radicata e soprattutto che esprime inclusività senza etichette. 

Il cambio del lessico però deve essere accompagnato anche ad una prospettiva differente che non sposi la performance ma diventi occasioni per celebrare, condividere, creare legami e affetti tra persone che si prendono cura. 

Nel cambio di prospettiva, passo obbligatorio è quello di raccontare e rendere partecipi le famiglie, con la consapevolezza che alcune probabilmente avanzeranno la mancanze di feste e regali ad hoc, ma qui risiede l’importanza del nostro mestiere: ricordarci e perseguire l’idea educativa secondo la quale noi non lavoriamo per creare dei prodotti o per accontentare i genitori ma per sostenere i bambini e le bambine nel loro processo di crescita. Questo significa raccontare ai genitori il compito difficile che siamo chiamate a svolgere, trovate modalità di racconto differenti, attivare altri tempi e luoghi in cui la famiglia sia davvero coinvolta nell’apprendimento dei bambini e delle bambine, e assemblare coniglietti e far colorare castagne su alcune schede è ormai un approccio che non risponde ai bisogni dei più piccoli. 

Noi proseguiamo nel pensare che non lavoriamo per i prodotti o per accontentare gli altri ma anzi per provare a far star bene tutti…per primi i bambini.